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giovedì 10 marzo 2016

RIFORMA DEL LAVORO: IL 67% DELLE AZIENDE PRONTO A CONVERTIRSI ALLO SMART WORKING, CON UN AUMENTO PREVISTO DELLA PRODUTTIVITÀ DI 27 MILIARDI DI EURO

Nel 2015 il 17% delle grandi imprese italiane ha messo in atto progetti strutturati di ‘lavoro agile’


Milano, 10 marzo 2016 - Il disegno di legge sul lavoro autonomo approvato dal consiglio dei ministri lo scorso fine gennaio affronta finalmente il lavoro agile. 

Quando si parla di “smart working” si intende una prestazione di lavoro subordinata che può essere svolta in parte in azienda e in parte fuori, in qualsiasi posto, grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici e con i limiti di orario previsti dalla contrattazione collettiva”, spiega Simone Colombo, consulente del lavoro ed esperto di direzione del personale in outsourcing

Le novità sul “lavoro agile”, come è stato definito dallo stesso provvedimento, sono essenzialmente tre: stesso tipo di trattamento economico e normativo che viene applicato a chi lavora all’interno dell’azienda con mansioni analoghe, medesimi incentivi fiscali e contributivi, tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti dai rischi connessi alla prestazione lavorativa.

Gli studi dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ci raccontano che il fenomeno interessa il 67% delle imprese di medio-grandi dimensioni, ma che solo 8% ha un modello di smart working sviluppato in modo sistematico

I benefici sono però evidenti sia in termini di produttività che in termini di risparmio di costi diretti a seguito della diminuzione delle postazioni di lavoro o della reingenierizzazione degli spazi. 

Secondo i calcoli di Colombo, “l'adozione di modelli di lavoro smart può aumentare la produttività delle aziende per un valore di 27 miliardi di euro e ridurre i costi fissi di 9 miliardi di euro. Telelavoro e riduzione degli spostamenti possono far risparmiare 4 miliardi di euro ai lavoratori, fra tra trasporti e spese di varia natura, come baby-sitter, pre-scuola, pasti, etc.”. Ma quali sono le difficoltà che questo provvedimento potrebbe incontrare in Italia? “Come si può intuire, l’introduzione dello smart working in un’azienda richiede un cambio radicale di mentalità poiché è necessario oltrepassare la misurazione del lavoro da termini orari ad una misurazione per obiettivi. Questo genere di mentalità è più diffuso negli negli USA. In Italia è ancora radicata nella mente degli imprenditori la credenza che il valore di una persona dipenda da quanto tempo trascorre in azienda”, precisa ancora Colombo.

Microsoft ha definito una procedura con lo smart index che permette di valutare le società per comprendere quanto possa essere conveniente ed applicato un modello di smart working in ogni azienda.

Qualche esempio?  
Da Unicredit a Vodafone, passando per Bayer e American Express e dal giugno 2013, Barilla ha attuato un progetto pilota con 1600 persone che permette, attraverso lo sviluppo di tecnologie informatiche e di reti, un risparmio medio di 68 minuti al giorno in termini di spostamenti casa-ufficio con l’obiettivo di aiutare i dipendenti a bilanciare meglio vita privata e lavoro.
Lo smart working inoltre non va confuso con il suo predecessore, il telelavoro

Il telelavoro è una variazione della sede di lavoro e ciò comporta operativamente l’obbligo di comunicazioni ai fini INAIL ed il rispetto dei requisiti, nonché l’osservanza dei regolamenti sulla sicurezza DLgs. 81/08. È necessario delineare le modalità di svolgimento dell’attività, l’orario di lavoro, le fasce di reperibilità e può essere temporaneo o a tempo indeterminato – specifica Colombo - Per quanto riguarda lo smart working, invece, la sede di lavoro rimane sempre quella abituale ovvero la sede dell’impresa, tanto che non è necessaria alcuna comunicazione formale all’INAIL, mentre va redatta un’informativa in materia di sicurezza ai sensi del DLgs 81/08”.

Accertata la fattibilità giuridica e la validità economica, è necessario fare chiarezza sul fatto che lo smart working non deve essere inteso semplicemente come una concessione al dipendente o collaboratore, ma deve generare un cambiamento radicale in termini di politica aziendale. 

Il lavoro viene misurato in funzione dell’obiettivo da raggiungere

Imprenditori e manager perdono così il controllo diretto sui propri collaboratori, tant’è che lo smart working tende a generare un organigramma orizzontale e non più piramidale, come normalmente rappresentato. 

In questo caso è importante avere una direzione del personale a cui è riconosciuta una forte leadership e sfruttare al meglio gli strumenti quali Skype, reti social aziendali che permettano il coordinamento e la collaborazione dei gruppi di lavoro”, chiarisce ancora Colombo.

Oltreoceano sono celebri i casi di Virgin e Patagonia. Nel 2014 Richard Branson ha abolito l’orario di lavoro e ha concesso ai dipendenti Virgin la possibilità di scegliere liberamente quando andare in ferie. “Contano i risultati – dice Branson – non il tempo trascorso in ufficio“.

Yvon Chounard, fondatore del marchio Patagonia, ha fatto installare nella reception degli uffici di Ventura (California) un grosso pannello che permette ai dipendenti di avere la situazione in tempo reale delle condizioni delle onde. 
Nella sede di Patagonia non è difficile imbattersi in dipendenti che si dirigono alla spiaggia in orario di lavoro con in braccio una tavola da surf.

Lo smart working può essere una risorsa utile per gestire i talenti e per rispondere alle esigenze di un mercato globalizzato che premia chi risponde nel più breve tempo possibile

Ma, come ogni altro strumento di organizzazione, deve essere coerente con gli obiettivi dell’azienda e con il suo modello di business: “Lo smart working non è una soluzione adatta a tutte le organizzazioni e non  è neppure applicabile a tutti i ruoli aziendali e per tutte le persone. Imprenditori e manager, va sottolineato, perdono il controllo diretto sui propri collaboratori, tant’è che lo smart working tende a generare un organigramma orizzontale e non più piramidale, come normalmente rappresentato. La scelta va fatta in funzione delle abilità “digitali” del dipendente, nonché dell’intensità di relazione del ruolo che ognuno occupa in azienda in termini anche di coordinamento nell’attività organizzativa”, conclude Colombo.

La formazione, così come la cultura aziendale e l’ambiente, gioca un ruolo importante per il successo dello smart working. L’uso degli strumenti digitali richiede competenze che vanno oltre la semplice praticità d’uso. 

Anche l’atteggiamento mentale deve essere ‘smart’ e un costante focus sul business dell’azienda.

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